Sintesi Assemblea Vacanza Medicina e Persona (22-25 Settembre 2016 – Grottammare)

Proponiamo alcuni spunti emersi dall’ Assemblea che si è tenuta alle vacanze dell’Associazione a Grottammare ( 22-25 settembre 2016).

Non rappresentano una sintesi esauriente dei numerosi e ricchi interventi ma si tratta di “estratti” su cui chiediamo a tutti di lavorare anche in vista dell’Assemblea Generale dell’Associazione che si terrà a Milano sabato 29 settembre.

Abbiamo iniziato chiedendoci che differenza ci sia, per chi fra noi è medico, fra appartenere a una società scientifica e a MeP. La risposta è che noi apparteniamo a un gruppo di persone che vogliono vivere il lavoro non da soli, e per cui il dialogo è fondamentale e necessario. Apparteniamo poi a una associazione che <<rispetto a un lavoro sa cosa significa una costruzione. La costruzione è responsabilità civile e umana>>.

Il primo punto consiste nello stare insieme, il secondo è l’avere la chiarezza di uno scopo.

<<L’associazione permette la possibilità di un respiro che non ti soffoca.  Ho bisogno di questo luogo perché da solo il respiro non me lo posso dare>>.

L’associazione è un aiuto a un giudizio perché davanti a quello che succede o abbiamo qualcosa da dire o lo subiamo.

MeP è <<un posto di combattimento>> perché insieme all’Associazione “ripartiamo” nel nostro lavoro.

E’ anche l’occasione di confronto sulla domanda che abbiamo noi sulla cura, con Altri che si pongono la stessa domanda . E’ un mondo che si apre e noi ci apriamo al mondo.

E la politica, l’organizzazione in sanità? Per non essere subordinati passivamente a essa occorre decidere lo scopo e poi orientare l’azione allo scopo. <<Lo scopo è curare le persone. La persona non è un fastidio. Siamo onorati che tu ti rivolga a noi>>. Senza questa concezione non c’è nessuna strategia che tenga.

È evidente anche una responsabilità educativa verso chi lavora con noi. Le persone con cui collaboriamo devono, almeno come tentativo, essere coinvolte sullo scopo. Questo vale a tutti i livelli o posizioni organizzative in cui ci troviamo. Se non c’è, questo siamo ricattati dalle condizioni in cui ci troviamo.

La parola “ai” giovani: <<Vivo una situazione difficile nel reparto dove lavoro perché il livello tecnico scientifico è alto, ma non altrettanto completo e stabile è lo “spessore umano”. Io stimo il mio capo ma mi accorgo della sua instabilità umana. Comprendo, infatti, che mancando la coscienza dello scopo, l’unica risorsa è il buonismo che spesso dipende dell’umore e dalle circostanze. Quando vedo il mio capo “instabile”, mi accorgo di aver bisogno di una compagnia. Questo è MeP per me>>.

<<Nel mondo del lavoro delle scuole di specialità spesso si incontrano due tipi umani: i “devoti” e i “cinici pratici”. Quelli cioè che hanno come unico scopo della loro vita di impadronirsi perfettamente di tutti gli strumenti tecnici e scientifici del sapere medico e a questo dedicano con accanita devozione, appunto, tutte le loro energie ed il loro tempo. E gli altri, quelli che hanno già capito, secondo loro, come “gira” e cercano di massimizzare i vantaggi con la minor partecipazione umana possibile.

Qui Invece è state dette cose che non si dicono da nessuna parte. E quando uno vede una cosa bella, supera un’inerzia e guadagna una prospettiva nuova. >>

Da queste riflessioni si può capire che Il lavoro serve per scoprire chi si è. Chi sono io? Da dove vengo e dove vado?

<<Per me lavorare è ed è stato molto umano. Le difficoltà ci sono. Questo vale per me ma anche per tutti. Sono persuaso tuttavia che Il destino personale è ciò che abbiamo più importante da mettere a tema. Dove si metta a tema questo, si lavora meglio. Dove questo non accade il lavoro diventa luogo di violenza>>. L’associazione pertanto è l’occasione dove la domanda su cosa è importante possa essere posta e difesa anche a livello sociale.

L’associazione rappresenta la possibilità di difendere le ragioni della vita davanti a tutti. . Dobbiamo aiutare la politica in questo che è la sua missione. Consapevole o no che lo sia.

<<Non c’è cura senza relazione. La relazione è parte costitutiva della cura.

Emerge anche da questo la valenza sociale della nostra realtà associativa proprio in questo mondo in cui è sparita la realtà civile. Non esiste più una comunità della speranza. C’è la comunità del rancore e del lamento. Noi qui abbiamo un ruolo per dare una mano. Possibilità di essere comunità di speranza.

Non basta che questi discorsi siano un appello cognitivo ideale o emotivo. Occorre che queste cose diventino metodo.

Dentro la relazione di cura passa una forte domanda sul soggetto. Questo può diventare metodo>>.

Molti si accaniscono tentativo di mediazione fra le esigenze dell’organizzazione e il bisogno di salute. Questo accade perché spesso non c’è, un principio di realtà nella gestione per questo abbiamo una grande responsabilità.

Occorrono onestà intellettuale e un impegno quotidiano.

Possiamo comunicare che la persona ha “valore” là dove siamo. Amando quello che abbiamo tra le mani. Tutto ciò è un rischio. E un lavoro. Non c’è esigenza organizzativa che sopravanzi questo. I limiti non sono un problema. Anzi da esecutori si può diventare geniali creatori se si è fedeli alla domanda, ai maestri e agli amici.

Gemma Migliaro

Presidente Medicina e Persona