TAKASHI e MIDORI NAGAI: LA VITA DI UN NUOVO GIORNO MI ATTENDE. LA GIOIA VERA. L’AUDACIA DI QUESTO CUORE CHE OGNI MATTINO SI RIMETTE ALL’OPERA

“Stimato e Caro dottore…” Lettera a un medico.

Pubblichiamo alcuni stralci della «Lettera a un medico» dell’arcivescovo, mons. Delpini.

Stimato e caro Dottore,
con questa lettera, desidero esprimere a Lei e a tutti i medici la mia vicinanza, il mio apprezzamento, il mio incoraggiamento.

Non ho ricette per risolvere i problemi della professione medica, non ho la presunzione di avanzare proposte concrete per riorganizzare il servizio sanitario. Sento però un dovere di gratitudine e di vicinanza verso tutti coloro che si prendono cura delle persone.

Con questo sento di dare voce a un atteggiamento tradizionale nella Chiesa: la condivisione della sollecitudine e della cura per chi soffre “nel corpo e nello spirito” ha sempre visto alleati uomini di Chiesa e uomini di scienza, anche se non li ha uniti la fede, ma lo spirito di servizio.

Ho scelto di scrivere questa lettera in occasione della festa di san Luca, patrono dei medici, secondo la devozione ecclesiale. Con questa scelta, desidero chiedere al patrono dei medici di intercedere per tutti quelli che esercitano questa professione al servizio di uomini e donne provati da ogni genere di malattie. Con tale servizio il medico rivela una somiglianza con Gesù che, in particolare nel Vangelo secondo Luca, si mostra misericordioso, sollecito, pronto a guarire chi soffre.

Medici “per vocazione”

Spesso raccolgo dai giovani che scelgono di studiare medicina una confidenza: «Desidero essere medico per curare i malati, lo sento come la mia vocazione». Nell’idealismo giovanile rimane l’intuizione che la scelta di una professione non è finalizzata solo alla garanzia di un posto di lavoro, alla promessa di un prestigio sociale, alle prospettive di una carriera redditizia. L’intenzione originaria è quella di una solidarietà con chi soffre che non è solo prossimità ma competenza che cura e guarisce, scienza che offre speranza.

Diventare medici per “vocazione” significa percepire che c’è qualcuno che chiama, che chiede aiuto, che invoca soccorso: si tratta del malato. Il credente riconosce in questa voce quella di Gesù che ha detto: «Ero malato e mi avete visitato» (Mt 25,36). È interessante notare che i benedetti nel Regno si sorprendono della gratitudine di Gesù: «Quando mai ti abbiamo visto malato?» (Mt 25,39).

Anche i medici che si professano non credenti si sentiranno benedetti da Dio per la cura che hanno per i malati. Del resto, è ammirevole la testimonianza di dedizione di molti medici, di qualsiasi credo, che si rendono disponibili anche oltre gli orari definiti per le emergenze, per i più poveri, perché non manchi una prossimità sollecita ai loro pazienti.

La motivazione a dare compimento a una “vocazione” sostiene la perseveranza in un percorso di studio tra i più impegnativi e prolungati nell’offerta universitaria italiana. Infatti, come Lei ricorda bene, non basta giungere a conclusione del percorso accademico della Facoltà di Medicina, ma si richiede poi una specializzazione e, spesso, una lunga attesa prima di conseguire una stabilità nell’esercizio della professione. Questo impegno e questo tempo in una sorta di “sala di attesa” diventa motivo di frustrazione e di scoraggiamento invece che aiuto a incrementare competenza ed esperienza.

La motivazione “vocazionale”, intesa in senso generale, continua a ispirare giovani italiani anche in un momento come questo, in cui la professione medica appare talora meno prestigiosa e meno garantita di quanto fosse in passato. […]

Il vantaggio di camminare insieme

Le sfide da affrontare sono inedite e complesse; di fronte a nuovi problemi non ci sono risposte già pronte: dobbiamo cercarle insieme. Le fatiche della professione si collocano in un contesto nuovo; l’esperienza e la buona volontà dei singoli non è una risorsa sufficiente. In particolare, invito i medici cattolici a meditare insieme, pregare insieme e cercare il confronto con le indicazioni del Magistero della Chiesa e con la tradizione spirituale cristiana. Il rapporto con i pazienti è talora difficile, frustrante; la virtù della pazienza è necessaria, ma non sufficiente: dobbiamo continuare ad attingere alla sorgente della compassione, della misericordia, della fortezza, cioè al dono dello Spirito Santo. Le comunità cristiane sono attente ai malati in molti modi con l’intenzione di evitare che i malati in casa soffrano di isolamento. Un buon rapporto con i medici di famiglia può consentire di condividere la prossimità, le cura per la situazione complessiva della persona, delle sue condizioni fisiche e del suo desiderio di Dio. […]

Una visione condivisa

Nella malattia il malato cerca anzitutto la guarigione, ma non di rado la situazione di fragilità, la necessità di interrompere un vivere frenetico e quasi trascinato dalle scadenze e dagli impegni quotidiani, inducono il malato ad affrontare le questioni fondamentali sul senso della vita e su quello che si può sperare. In queste situazioni, può essere che la confidenza stabilita con il medico diventi condizione per un confronto sulle convinzioni più profonde e personali, certo più probabile con il medico di famiglia, ma anche nei momenti più trepidi del ricovero in ospedale.

Nella nostra sensibilità questo confronto è spesso evitato, con reticenze e imbarazzi, ritenuto quasi una forma di invadenza indiscreta, censurato come estraneo alla scienza e alla professione. Io sono convinto, invece, che prendersi cura della persona significhi anche credere possibile un confronto che propizi la crescita di tutti, una testimonianza che offra umilmente e fiduciosamente un aiuto a sperare.

I medici cristiani devono trovare il linguaggio adeguato per non sottrarsi a interpretare la professione come contesto adatto per essere e dirsi cristiani e vivere con coerenza.

 

Udienza. Il Papa ai medici: eutanasia è «falsa compassione», non è libertà.

Udienza. Il Papa ai medici: eutanasia è «falsa compassione», non è libertà.

– da Avvennire del 20 settembre 2019 –

Francesco nell’incontro con i medici: non usare la medicina «per assecondare una possibile volontà di morte del malato»

“Di fronte a qualsiasi cambiamento della medicina e della società da voi identificato, è importante che il medico non perda di vista la singolarità di ogni malato, con la sua dignità e la sua fragilità. Un uomo o una donna da accompagnare con coscienza, con intelligenza e cuore, specialmente nelle situazioni più gravi”.

È l’appello del Papa, che ricevendo in udienza alcuni rappresentanti della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri ha ribadito che “si può e si deve respingere la tentazione – indotta anche da mutamenti legislativi – di usare la medicina per assecondare una possibile volontà di morte del malato, fornendo assistenza al suicidio o causandone direttamente la morte con l’eutanasia“. “Si tratta di strade sbrigative di fronte a scelte che non sono, come potrebbero sembrare, espressione di libertà della persona, quando includono lo scarto del malato come possibilità, o falsa compassione di fronte alla richiesta di essere aiutati ad anticipare la morte”, la denuncia di Francesco, che ha citato la nuova Carta per gli operatori sanitari, dove si legge: “Non esiste un diritto a disporre arbitrariamente della propria vita, per cui nessun medico può farsi tutore esecutivo di un diritto inesistente”.

Infine, la citazione di san Giovanni Paolo II, per il quale la responsabilità degli operatori sanitari “è oggi enormemente accresciuta e trova la sua ispirazione più profonda e il suo sostegno più forte proprio nell’intrinseca e imprescindibile dimensione etica della professione sanitaria, come già riconosceva l’antico e sempre attuale giuramento di Ippocrate, secondo il quale ad ogni medico è chiesto di impegnarsi per il rispetto assoluto della vita umana e della sua sacralità”.

In un altro passaggio del discorso Francesco ha ricordato quanto sia necessario affrontare “ogni singolo caso clinico come un incontro umano”. “Occorre sempre ricordare che – ha sottolineato il Papa – la malattia, oggetto delle vostre preoccupazioni, è più di un fatto clinico, medicalmente circoscrivibile; è sempre la condizione di una persona, il malato, ed è con questa visione integralmente umana che i medici sono chiamati a rapportarsi al paziente: considerando perciò la sua singolarità di persona che ha una malattia, e non solo il caso di quale malattia ha quel paziente. Una persona che ha una malattia – ha ribadito a bracio -. Si tratta per i medici di possedere, insieme alla dovuta competenza tecnico-professionale, un codice di valori e di significati con cui dare senso alla malattia e al proprio lavoro e fare di ogni singolo caso clinico un incontro umano”.

Clicca qui per la lettura del discorso integrale…

Medicina e Persona. Non si spezzi la natura solidale della missione di noi medici

Non si spezzi la natura solidale della missione di noi medici. Felice Achilli. Avvenire, 18/09/2019

 

SALUTE E/È CARITÀ/ ESSERE MEDICI: LA SCUOLA PAZIENTE DELL’IMITAZIONE

RIUSCIRA’ IL DECRETO SBLOCCA ASSUNZIONI AD ARRESTARE L’EMORRAGIA DI FIDUCIA NEL SISTEMA SANITARIO?

Sono stati pubblicati i dati del conto annuale 2017 della Ragioneria Generale dello Stato (quotidiano sanità del 26/03/2019) la riduzione negli ultimi anni degli occupati nel SSN è stata costante, passando dalle 693.600 unità del 2009 alle 647.048 del 2017, con un decremento del 5.2% annuo. Per i professionisti un dato non solo numerico, ma che implica una responsabilità…. ( continua a leggere). A cura di R. Latocca