Assemblea Nazionale (14 Novembre 2015 – Ospedale Niguarda, Milano)

Sintesi

Una prima considerazione, post-assembleare, che deriva da moltissimi interventi: esiste nelle persone che lavorano in sanità un bisogno profondo, sentito, a volte gridato, di un luogo dove mettere in comune l’esigenza di un approfondimento sulla professionalità, le difficoltà sul lavoro e le domande anche specifiche che possono nascere.

Spesso questi bisogni sono però assolutamente reattivi e frammentati in “bisogni particolari” che cambiano ogni volta e sembrano non essere in grado di “parlarsi” tra loro. Per esempio, dopo l’assemblea, abbiamo incontrato una specializzanda che ha sentito “lontane” le parole dette perché le sue esigenze e preoccupazioni contingenti sono rivolte al concreto del suo lavoro e ad avere, perciò, indicazioni di comportamento nei confronti di situazioni estreme (pazienti in coma).

Ora, noi siamo sempre stati e siamo tuttora certi che occorre incontrarsi, ascoltarsi, scoprendo quanto si può imparare come metodo dall’esperienza dell’altro che può accadere in un ambito specialistico o di situazione differente da quello in cui ognuno di noi vive tutti i giorni. Ma, spesso, non consideriamo utile questo lavoro di riflessione/indicazione, soprattutto perché sembra non fornire una risposta “applicabile” subito.

L’assemblea ha invece offerto, soprattutto nei primi interventi, alcuni esempi concreti. Abbiamo ascoltato il racconto dell’esperienza di due amici che lavorano in ambito farmacologico e che hanno dato vita al gruppo di studio “Periphery” (link 1); la relazione del lavoro degli operatori psicosociali (link 2), nato dopo l’ ultimo convegno nazionale di Triuggio; l’interessante proposta di una amica psichiatra di Bari che ha iniziato un progetto (Progetto Momo) (link 3) di ascolto telefonico con operatori qualificati, per il sostegno alla solitudine e soprattutto al disagio psichico e per la prevenzione dei suicidi, specie nei giovanissimi.

Gli interventi successivi hanno evidenziato un fatto: la concezione di sé autosufficiente e autoreferenziale che tutto il mondo (anche non sanitario) vive, ha invaso e colonizzato anche noi.

Ma è chiaro il giudizio che, nel lavoro, si è invece dipendenti e interdipendenti l’uno dall’altro e occorre riconoscere questa realtà: ormai non si può più pensare di poter lavorare da soli.

Le circostanze e le persone con cui ci troviamo a lavorare non vanno quindi guardate come nemiche. Questo giudizio ha valore anche nei confronti della normativa europea sugli orari di lavoro. Si tratta di coglierli come sfida alla propria professionalità e non solo per riorganizzare il lavoro. In tal senso è stato prodotto l’editoriale (in rassegna stampa del 17/11/2015): La direttiva europea sui riposi: diritti dei medici e diritti dei pazienti. Vogliamo essere professionisti, non accontentarci di essere impiegati (link 4). A questo proposito si è evidenziato come questa normativa rischia di mortificare la professionalità e ribadito la necessità, soprattutto dei più giovani, di avere spazi e tempi per imparare.

Provocati dal titolo del prossimo Meeting di Rimini, alcuni interventi hanno evidenziato la necessità di trovare un metodo che parta dal giudizio “l’altro è un bene per me” e che costringa ciascuno a spostare lo sguardo dal soggetto del nostro lavoro (noi con le nostre esigenze) all’oggetto (il paziente ed il contesto).

Altra grande sottolineatura emersa come segno di questo tempo: occorre fare vivere l’associazione in modo attivo e critico localmente: se si percepisce un problema o si evidenzia una possibilità ci si associa per entrare in merito, tentare di conoscerlo, giudicarlo e rispondervi.

In tal senso molti hanno chiesto all’Associazione un servizio di aiuto a conoscere (leggi, normative, ecc…) e un sostegno per diverse iniziative che ritengono utili per i loro pazienti o per la struttura in cui operano.

Per provare a concludere e riallacciarsi allo spunto iniziale: in questo contesto il professionista deve riappropriarsi del proprio mestiere senza rinunciare all’iniziativa vera. Ciò è possibile in un’amicizia che ci sostiene nella realtà lavorativa in cui ci troviamo. Questo costituisce il rifiorire dell’origine dell’Associazione che fa dire che l’Assemblea è stata bella. Quando si sente ridestato l’io professionale, anche solo dal racconto dell’altro, rinasce in ciascuno il desiderio di prendere  l’iniziativa sul reale.