“Dottoressa, da adesso io e lei siamo legati a vita”

Come curiamo i nostri pazienti e come vorremmo fossero curati: cosa cambia nella Medicina Generale con la Riforma della sanità della Regione Lombardia.

La Regione Lombardia dal mese di gennaio 2018 ha invitato i pazienti con patologie croniche ad aderire al nuovo modello di presa in carico che prevede la presenza di enti gestori che organizzino tutti i servizi sanitari e socio-sanitari programmando e prenotando prestazioni ed interventi di cura specifici, in base alla redazione di piani assistenziali individuali (PAI). I MMG possono partecipare a questo progetto singolarmente come co-gestori, o aderendo a cooperative di MMG, come gestori, e in entrambi questi casi il loro nome compare nelle lettere inviate.

“Dottoressa, da adesso io e lei siamo legati a vita”: sono emblematiche queste parole che un paziente entusiasta ha detto al suo MMG dopo aver ricevuto la lettera della Regione Lombardia, ma la realtà non è proprio come se l’era immaginata…  Nella gestione del paziente cronico la Regione propone la scelta di un gestore di fiducia, che può essere sia una cooperativa di MMG sia strutture sanitarie pubbliche o private. Solo nel primo caso il MMG seguirà il proprio paziente in tutto il percorso di cura, mentre negli altri casi di fatto il paziente avrà come riferimento, per la sua patologia cronica, una struttura e non un singolo medico. Quello di cui i pazienti hanno bisogno e desiderano è una relazione di cura con un medico di riferimento che rimanga stabile nel tempo, ed è quello che già accade con il MMG che svolga pienamente il suo ruolo. Un paziente, di fronte all’invito a scegliere come ente gestore per le proprie patologie croniche una struttura in cui era appena stato ricoverato, ha mosso questa obiezione al suo MMG: dottore io conosco lei, so che faccia ha, ho il suo telefono in caso di necessità, ma in ospedale a chi mi posso rivolgere? Il paziente ha il desiderio e l’esigenza di una relazione con una persona non con un ente, per quanto qualificato e organizzato.  Quello che a noi sembra fondamentale, potrà mai essere individuato all’interno di un anonimo ente gestore? Il paziente quando si presenta da noi con la lettera in mano, desidera e ha bisogno di un medico specifico, che sia di riferimento per lui non solo per la redazione iniziale del PAI, ma per tutto il percorso della sua malattia.

A conferma del fatto che la relazione di cura è l’aspetto fondamentale, si sta osservando la scarsissima adesione in particolare da parte dei pazienti i cui medici non aderiscono al progetto. Quando i pazienti si rendono conto che perdono la possibilità di riferirsi al proprio MMG per quanto riguarda la cura delle malattie croniche, decidono di non aderire. Sapere che, se di fronte a problemi clinici anche banali, quali alterazioni di valori pressori o glicemici, per operare modifiche alla terapia impostata sul PAI, devono far riferimento solo al “gestore” e non al proprio medico (perché anche il MMG co-gestore non è autorizzato, secondo quanto scritto sul decreto), li fa sentire privi di un riferimento reale e conosciuto.

Il punto di forza del MMG sta nell’accompagnare i suoi pazienti in tutto il percorso di cura.

Il valore dell’accompagnamento del paziente non consiste quindi negli adempimenti burocratici di prenotazione delle visite, come viene indicato nelle lettere di invito, ma nel prendersi cura della situazione clinica e nel condividere il percorso anche di difficoltà e sofferenza del paziente e dei suoi famigliari di fronte alla malattia.

Questo servizio di prenotazione di esami e visite potrebbe essere utile per pazienti particolarmente fragili, perché soli e/o anziani, o con difficoltà linguistiche. Si potrebbe pensare allora di potenziare gli incentivi per il personale di segreteria negli studi dei MMG o per il personale socio-sanitario (ad es. custodi sociali).

Pur riconoscendo la necessità per la Regione di pianificare e ottimizzare la spesa, riteniamo che la gestione di un paziente cronico potrebbe essere migliorata, con enorme risparmio di risorse economiche, migliore soddisfazione professionale del medico e gratificazione del paziente, sviluppando l’idea di PRESST e POT, inserendo il MMG all’interno di strutture nelle quali i vari professionisti possano interfacciarsi a beneficio della salute del paziente. Questo permetterebbe di mantenere quel rapporto fiduciario tra MMG e paziente che è il cardine della nostra professione, non sottraendo la nostra relazione con questa ampia fetta di popolazione nostra assistita.

A cura di alcuni MMG di Milano

Medicina e Persona

 

Discorso del Santo Padre Francesco ai Membri della Federazione degli Ordini delle professioni Infermierististiche (FNOPI)

Alle ore 11.45 di oggi, nell’Aula Paolo VI, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i Membri della Federazione degli Ordini delle Professioni infermieristiche (FNOPI).

Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto ai presenti all’Udienza:

Discorso del Santo Padre
“Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Sono lieto di incontrarvi e, prima di tutto, vorrei esprimervi la mia riconoscenza e la mia stima per il lavoro così prezioso che svolgete verso tante persone e per il bene di tutta la società. Grazie, grazie tante!
Rivolgo il mio cordiale saluto alla Presidente e a tutta la Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche, da voi rappresentata quest’oggi. Pur provenendo da una lunga tradizione associativa, tale Federazione può dirsi “neonata” e sta compiendo ora i suoi primi passi. La sua costituzione, confermata da alcuni giorni dal Parlamento italiano, mette meglio in luce il valore delle professioni infermieristiche e garantisce una maggiore valorizzazione della vostra professionalità. Con quasi 450 mila iscritti, formate il più grande ordine professionale italiano, e rappresentate un riferimento anche per altre categorie di professionisti. Il cammino comune che compite vi consente non solo di avere una sola voce e una maggiore forza contrattuale, ma anzitutto di condividere valori e intenti che sono alla base del vostro operato.
È davvero insostituibile il ruolo degli infermieri nell’assistenza al malato. Al pari di nessun altro, l’infermiere ha una relazione diretta e continua con i pazienti, se ne prende cura quotidianamente, ascolta le loro necessità ed entra in contatto con il loro stesso corpo, che accudisce. È peculiare l’approccio alla cura che realizzate con la vostra azione, facendovi carico integralmente dei bisogni delle persone, con quella tipica premura che i pazienti vi riconoscono, e che rappresenta una parte fondamentale nel processo di cura e di guarigione.
Il Codice deontologico infermieristico internazionale, al quale si ispira anche quello italiano, individua quattro compiti fondamentali della vostra professione: «promuovere la salute, prevenire la malattia, ristabilire la salute e alleviare la sofferenza» (Premessa). Si tratta di funzioni complesse e molteplici, le quali toccano ogni ambito della cura, e che adempite in collaborazione con gli altri professionisti del settore. Il carattere sia curativo che preventivo, riabilitativo e palliativo della vostra azione esige da voi un’elevata professionalità, che richiede specializzazione e aggiornamento, anche per la costante evoluzione delle tecnologie e delle cure.
Questa professionalità, però, non si manifesta solo in ambito tecnico, ma anche e forse ancor più nella sfera delle relazioni umane. Stando a contatto con i medici e con i familiari, oltre che con i malati, diventate negli ospedali, nei luoghi di cura e nelle case il crocevia di mille relazioni, che BOLLETTINO N. 0166- 03.03.2018 2

richiedono attenzione, competenza e conforto. Ed è proprio in questa sintesi di capacità tecniche e sensibilità umana che si manifesta in pieno il valore e la preziosità del vostro lavoro.
Prendendovi cura di donne e di uomini, di bambini e anziani, in ogni fase della loro vita, dalla nascita alla morte, siete impegnati in un continuo ascolto, teso a comprendere quali siano le esigenze di quel malato, nella fase che sta attraversando. Davanti alla singolarità di ogni situazione, infatti, non è mai abbastanza seguire un protocollo, ma si richiede un continuo – e faticoso! – sforzo di discernimento e di attenzione alla singola persona. Tutto questo fa della vostra professione una vera e propria missione, e di voi degli “esperti in umanità”, chiamati ad assolvere un compito insostituibile di umanizzazione in una società distratta, che troppo spesso lascia ai margini le persone più deboli, interessandosi solo di chi “vale”, o risponde a criteri di efficienza o di guadagno.
La sensibilità che acquisite stando ogni giorno a contatto con i pazienti faccia di voi dei promotori della vita e della dignità delle persone. Siate capaci di riconoscere i giusti limiti della tecnica, che non può mai diventare un assoluto e mettere in secondo piano la dignità umana. Siate anche attenti al desiderio, talora inespresso, di spiritualità e di assistenza religiosa, che rappresenta per molti pazienti un elemento essenziale di senso e di serenità della vita, ancora più urgente nella fragilità dovuta alla malattia.
Per la Chiesa, i malati sono persone nelle quali in modo speciale è presente Gesù, che si identifica in loro quando dice: «Ero malato e mi avete visitato» (Mt 25,36). In tutto il suo ministero, Gesù è stato vicino ai malati, li ha accostati con amorevolezza e tanti ne ha guariti. Incontrando il lebbroso che gli chiede di essere sanato, stende la mano e lo tocca (cfr Mt 8,2-3). Non ci deve sfuggire l’importanza di questo semplice gesto: la legge mosaica proibiva di toccare i lebbrosi e vietava loro di avvicinarsi ai luoghi abitati. Gesù però va al cuore della legge, che trova il suo compendio nell’amore del prossimo, e toccando il lebbroso riduce la distanza da lui, perché non sia più separato dalla comunità degli uomini e percepisca, attraverso un semplice gesto, la vicinanza di Dio stesso. Così, la guarigione che Gesù gli dona non è solo fisica, ma raggiunge il cuore, perché il lebbroso non solo è stato guarito ma si è sentito anche amato. Non dimenticatevi della “medicina delle carezze”: è tanto importante! Una carezza, un sorriso, è pieno di significato per il malato. È semplice il gesto, ma lo porta su, si sente accompagnato, sente vicina la guarigione, si sente persona, non un numero. Non dimenticatelo.
Stando con i malati ed esercitando la vostra professione, voi stessi toccate i malati e, più di ogni altro, vi prendete cura del loro corpo. Quando lo fate, ricordate come Gesù toccò il lebbroso: in maniera non distratta, indifferente o infastidita, ma attenta e amorevole, che lo fece sentire rispettato e accudito. Facendo così, il contatto che si stabilisce con i pazienti porta loro come un riverbero della vicinanza di Dio Padre, della sua tenerezza per ognuno dei suoi figli. Proprio la tenerezza: la tenerezza è la “chiave” per capire l’ammalato. Con la durezza non si capisce l’ammalato. La tenerezza è la chiave per capirlo, ed è anche una medicina preziosa per la sua guarigione. E la tenerezza passa dal cuore alle mani, passa attraverso un “toccare” le ferite pieno di rispetto e di amore.
Anni fa, un religioso mi confidò che la frase più toccante che gli era stata rivolta nella vita era quella di un malato, che egli aveva assistito nella fase terminale della sua malattia. “La ringrazio, padre – gli aveva detto – perché lei mi ha sempre parlato di Dio, pur senza nominarlo mai”: questo fa la tenerezza. Ecco la grandezza dell’amore che rivolgiamo agli altri, che porta nascosto in sé, anche se non ci pensiamo, l’amore stesso di Dio.
Non stancatevi mai di stare vicini alle persone con questo stile umano e fraterno, trovando sempre la motivazione e la spinta per svolgere il vostro compito. Siate anche attenti, però, a non spendervi fino quasi a consumarvi, come accade se si è coinvolti nel rapporto coi pazienti al punto da farsi assorbire, vivendo in prima persona tutto ciò che accade loro. Quello che svolgete è un lavoro usurante, oltre che esposto a rischi, e un eccessivo coinvolgimento, unito alla durezza delle mansioni e dei turni, potrebbero farvi perdere la freschezza e la serenità che vi sono necessarie. State attenti! Un altro elemento che rende gravoso e talora insostenibile lo svolgimento della vostra BOLLETTINO N. 0166- 03.03.2018 3

professione è la carenza di personale, che non può giovare a migliorare i servizi offerti, e che un’amministrazione saggia non può intendere in alcun modo come una fonte di risparmio.
Consapevole del compito così impegnativo che svolgete, colgo l’occasione per esortare i pazienti stessi a non dare mai per scontato quanto ricevono da voi. Anche voi, malati, siate attenti all’umanità degli infermieri che vi assistono. Chiedete senza pretendere; non solo aspettatevi un sorriso, ma anche offritelo a chi si dedica a voi. A questo proposito, un’anziana signora mi ha raccontato che, quando si reca in ospedale per le cure di cui ha bisogno, è così grata ai dottori e agli infermieri per il lavoro che svolgono, che cerca di mettersi elegante e di farsi bella per dare a sua volta qualcosa a loro. Nessuno quindi dia per scontato quanto gli infermieri fanno per lui o per lei, ma nutra sempre per voi il senso di rispetto e gratitudine che vi è dovuto. E con il vostro permesso, io vorrei rendere omaggio a un’infermiera che mi ha salvato la vita. Era un’infermiera suora: una suora italiana, domenicana, che è stata inviata in Grecia come professoressa, molto colta… Ma sempre come infermiera poi è arrivata in Argentina. E quando io, a vent’anni, ero in punto di morte, è stata lei a dire ai dottori, anche discutendo con loro: “No, questo non va, bisogna dare di più”. E grazie a quelle cose, io sono sopravvissuto. La ringrazio tanto! La ringrazio. E vorrei nominarla qui, davanti a voi: suor Cornelia Caraglio. Una brava donna, anche coraggiosa, al punto da discutere con i medici. Umile, ma sicura di quello che faceva. E tante vite, tante vite si salvano grazie a voi! Perché state tutto il giorno lì, e vedete cosa accade al malato. Grazie di tutto questo!
Salutandovi, esprimo il mio auspicio che il Congresso, che terrete nei prossimi giorni, sia una fruttuosa occasione di riflessione, confronto e condivisione. Invoco su tutti voi la benedizione di Dio; e anche voi, per favore, pregate per me.
E adesso – in silenzio, perché voi siete di diverse confessioni religiose – in silenzio preghiamo Dio, Padre di tutti noi, perché ci benedica.
Il Signore benedica tutti voi, e i malati che voi accudite.
Grazie!”